Ascoltando il suo album di debutto dal titolo omonimo (uscito nel novembre del 2011 in Regno Unito ed Irlanda) fatico a credere che Birdy abbia solo quindici anni. Sarà che in Italia a causa dei talent show siamo abituati ormai ad ascoltare la stessa stupida canzoncina d'amore sofferto copiata e passata da una voce all'altra ogni anno, ma trovarmi di fronte ad un album pop-folk di qualità sfornato da una ragazzina mi fa ben sperare nel futuro della musica anche se difficilmente passerà dal Belpaese.
C'è comunque da tener conto che, sebbene lei suoni e canti con maestria, questo primo lavoro è composto quasi interamente da cover quindi è d'obbligo avere delle riserve sul prosieguo artistico di questa giovane scoperta britannica riuscita a battere diecimila artisti nel 2008, a soli dodici anni, trionfando nella prima edizione dell'Open Mic UK, una delle competizioni live più importanti e seguite del Regno Unito, ottenendo un contratto discografico con la Warner Music.
L'album si apre con 1901, un brano ridondante e di poche pretese che nonostante evochi colori ed atmosfere alla Joni Mitchell o Natalie Merchant, un vanto se si pensa che l'originale dei Phoenix attinge ad un banale e trito synthpop quasi da filler, non spinge a proseguire nell'ascolto. Tuttavia fermarsi qui sarebbe uno spreco e lo testimoniano le due tracce successive.
La prima è Skinny love, una cover di Bon Iver, scelta come singolo di debutto della giovanissima artista, in cui mette in mostra il registro medio-alto rimasto in ombra nell'apripista e ad essere sinceri rende più riconoscibile l'età. Un timbro fresco, ancora immaturo, che si muove con disinvoltura e slancio impulsivo fra le note. Il talento c'è e ha voglia di farsi ascoltare, di conquistare l'orecchio.
La bomba non tarda ad arrivare e s'intitola People help the people. Birdy si appropria di un brano dei Cherry Ghost, band indie-rock inglese, e lo trasforma, migliorandolo. La canzone è sgrezzata, privata di un arrangiamento da garage e sporco che la rendeva troppo simile ad un sound da cliché, ormai troppo abusato nella musica anglosassone e a mio parere anonima. La ragazzina incontra l'Amanda Palmer straziante di Have to drive e offre una perla di rara bellezza per questo periodo storico musicale. Parte con la voce mozzafiato e quasi in bilico, tornata a scavare fra i bassi con timbro impastato e vibrato da brividi, accompagnata dal piano in stile dream-pop ed è subito magia. La seconda parte, in cui entrano chitarra e batteria, ci fa tornare sulla Terra rendendo la ballad meno esclusiva ed intimista ma si rimane comunque su alti livelli grazie soprattutto al bridge emozionale sorretto da un arco che s'inserisce solitario nell'arrangiamento.
Si prosegue poi con White winter hymnal (originale dei Fleet Floxes), altro brano totalmente rinnovato e rinfrescato i cui primi minuti riportano alla mente Halo, hit di Beyoncé. La traccia si lascia ascoltare piacevolmente, malgrado la cadenza ritmica un po' pedante presa in prestito dalle down-tempo r'n'b, grazie alla durata brevissima. Una toccata e fuga. The district sleeps alone tonight dimostra invece come si possa dare anima ad un esperimento senza verve nato con un arrangiamento quasi a 8-bit (ascoltare i The Postal Service per credere) e a renderlo comunicativo.
I'll never forget you rende giustizia alla versione di Francis and the Lights. Birdy si traveste da Antony Hegarty e commuove cantando un piccolo capolavoro crepuscolare su pochi semplici accordi di pianoforte prima di tornare a melodie meno intense e più mainstream con Young blood. La canzone è carina ed orecchiabile, quasi di Coldplayiana fattura, ma meno coinvolgente dell'originale dei The Naked and Famous.
Shelter, stranamente scelto come secondo singolo estratto, suona subito come la sorella minore, o copia sbiadita che dir si voglia, di People help the people. Uno dei pezzi meno convincenti dell'album tanto da abbandonare la mente dopo un unico ascolto. Non si può dire lo stesso di Fire and rain, indimenticabile perla di James Taylor. La ragazzina non ha, per forza di cose, il trasporto malinconico di Taylor che racconta il suicidio di un'amica e il superamento della depressione e della tossicodipendenza ma propone una versione rispettosa e pulita quasi a voler omaggiare l'icona senza troppa invadenza.
Relegato ingiustamente al penultimo posto in tracklist Without a word, l'unico brano scritto di proprio pugno da Jasmine van den Bogaerde (questo il nome della cantautrice in erba). Bellissimo e struggente, tratta il tema d'amore con lucidità, senza patetismi, come vissuto da una donna adulta e disillusa. Una maturità compositiva e di intenti che lascia spiazzati.
A chiudere una splendida carta d'identità è Terrible love dei The National, l'ultima possibilità per farsi trascinare dalla nostalgia del sentimento che lascia l'amaro in bocca. Birdy saluta il cuore dell'ascoltatore con passione e lascia nelle orecchie e nella mente la voglia di impostare la modalità replay e riascoltare altre cento volte ogni singolo brano.
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